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Nulla di questa vita è mai abbastanza (Hanoi - 8/4/2011)

Palomar sedeva su una roccia color del cielo, intorno una fitta bianca soffice nebbia impediva lo sguardo. Mangiando una mela ecco arrivare Incandenza, era alto e sorridente. I piedi toccavano terra solo grazie a lunghe radici brune che, partendo dalle dita, si moltiplicavano all'infinito.
<Andiamo?> disse il nuovo giunto.
<Dove?> chiese Palomar.
<Vedi quella curva dorata che fischia questa musica soave?>
<Posso solo sentirla...credi che esista davvero?>
<Mai come ora> disse Incandenza, e si mise a camminare.
I due respiravano la nebbia dalle narici, depurandola del suo mistero, restituendola pura e trasparente dalla bocca.
<E' un piacere mutare> osservò Palomar, aspettando la risposta di Incandenza, il quale disse <Cambiare fa parte delle cose>.
Tuoni lontani correvano nuvole dalle forme umane, alte sopra di loro, e loro le spostavano con il cenno di una mano. Indice e pollice strizzavano gli occhi mentre il mignolo rimaneva indietro lungo il cammino, perdendosi per sempre.
<I tuoi capelli stanno crescendo> disse Incandenza <...è ora di fermarli?>
<No, lasciali divertire ancora un pò> rispose Palomar <In fin dei conti siamo tutti colpevoli e perciò tutti innocenti> e aggiunse <che banalità, vero? Potrai mai dimenticarla?>.
<Dovrò rifletterci a lungo; nel frattempo raccontami dei sogni che stiamo vivendo>.
I due discorsero a lungo, ridendo e ghignando, furiosi in certi silenzi, vicini sotto i pericoli del cielo.
Per un pò Incandenza guardò a destra mentre Palomar guardò a sinistra, continuarono così, osservando mondi diversi e in fondo uguali, parlando con chi passava a destra, per Incandenza, e chi a sinistra, per Palomar.
Poi uno dei due starnutì, e giratisi, si accorsero di essere ancora vicini, diretti entrambi verso quella curva dorata. Si raccontarono di chi e cosa avevano visto a destra e a sinistra finendo col concludere che le percezioni sono equivoci di uno stesso identico viso.
<Mi mancherai, lo sai?> disse Palomar.
<Lo so> sorrise Incandenza, e aggiunse <Non fermarti alla forma, c'è molto di più in un cubo della somma dei suoi meri lati>, e mentre finiva la frase i suoi contorni cominciavano a svanire, il corpo perdeva sostanza e andava ad unirsi a quella fitta bianca soffice nebbia che avvolgeva loro e tutto quel sogno.
Palomar sorrise a quello spettro e con un gesto veloce della mano spazzò via gli ultimi residui di quello che una volta rispondeva al nome di Incandenza.
Mentre guardava la curva dorata, immensa di fronte a lui, Palomar si rendeva conto che era una strada che saliva alta verso il cielo, attraversando tre nuvole e un sole, dritta fino al futuro.
<E' vero, la forma non è tutto...ciao Incandenza>, e cominciò a salire gli scalini che svanivano mano a mano che li passava.

Commenti

  1. doveva temperare una stupida matita. era da tanto che non ne temperava una. cercò tra i cassetti, ma non trovò nulla. mise le mani negli stessi posti innumerevoli volte. finì per arrendersi.
    Il giorno seguente, sulla mensola della sua camera scorse un temperino viola. svenì all'istante e cominciò a sognare di banchetti lungo stradine rese vive dal calore della gente, di cadute su centimetri di fango, di paradisi perduti ma non troppo, e poi ancora di strani incontri casuali e di giorni di ozio ad oscillare su un'amaca, e di templi che sembravano esser lì da sempre.
    sognò tutto questo, fino a svegliarsi, con un vago ricordo nella testa.
    il ricordo di un compagno, di un amico, con il quale aveva lavato i panni sporchi assieme.

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  2. "Allora gli parve che, come quando sognava nella casa di Bombadil, la grigia cortina di pioggia si trasformasse in vetro argentato e venisse aperta, svelando candide rive e una terra verde al lume dell'alba"
    (Il Signore degli Anelli)

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